Il Signor P. come tutti i venerdì da 10 anni a questa parte anche oggi dopo il lavoro incontra i suoi tre amici al bar per una cena a base di tramezzini e olive e una partitina a poker.
Oggi però il bar del Signor P. e dei suoi amici è chiuso. Un cartello incollato sulla porta di ingresso recita “chiuso per lutto”. Cosa fare ? tornare a casa mogi mogi o trovare un altro locale dove consumare il rito del venerdì? Il Signor P. ed i suoi amici decidono di non rinunciare e a turno propongono il bar che secondo loro può fare alla bisogna. Si decide di andare al bar del lago che ha anche una piccola sala ristorante, è un po’ fuorimano ma si mangia veramente bene, una cena come si deve e non i soliti tramezzini e olive.
Tre delle pareti della sala ristorante sono formate da grandi vetrate. Da dentro quindi si può guardare il lago , la piccola pineta sulla destra, ritrovo di tante coppiette, ed anche l’ingresso del residence che una volta era utilizzato da famiglie in vacanza ed ora serve solo per appuntamenti clandestini. I quattro amici scelgono un bel tavolo all’ angolo e il Signor P. è il più fortunato perché, tra tutti, è l’unico che può godere della splendida vista del lago, della pineta ed ovviamente del residence.
Bevono un aperitivo leggermente alcolico, mangiano bruschette e formaggi e mentre aspettano il primo chiacchierano e scherzano come ogni venerdì. Qualche pettegolezzo come sempre sfugge, qualche risatina e qualche battuta giocosamente triviale. Arriva il primo: un’ottima pasta fatta in casa condita con funghi porcini e profumata al tartufo. Hanno fatto proprio bene a scegliere questo posto! Ora aspettano bramosi il secondo: costatine di cinghiale con prugne e castagne. Si tratta di un piatto antico che ormai quasi nessuno sa fare più. Si versano del vino e brindano alla serata, fanno anche un brindisi al loro vecchio bar chiuso per lutto e defunto esso stesso perché, ormai, il Signor P. ed i suoi amici non ci torneranno più. Hanno infatti deciso di eleggere questo a loro nuovo ritrovo. “E poi da qui” suggerisce uno degli amici del Signor P. “potremo anche avere notizie di prima mano sui cornuti della nostra città e a proposito di cornuti avete saputo che il dottor G. l’altro giorno è tornato a casa perché aveva dimenticato il ricettario e ha trovato la moglie a letto con l’amante?” E tutti a ridere delle disgrazie del povero dottor G., a ridere, ma senza cattiveria, come si fa tra amici quando ci si trova nella giornata giusta.
Una volta arrivato il cinghiale tutti si chiudono in un silenzio mistico, le loro bocche, ora, sono fatte solo per assaporare quella delizia. Anche il Signor P. con una espressione beata si gode appieno il grosso pezzo di cinghiale che sta addentando, ma ad un certo punto diventa tutto rosso e strabuzza gli occhi che sembrano voler uscire dalle orbite quasi ad inseguire qualche strana cosa che lui e solo lui ha visto. Tutti seguono la traiettoria del suo sguardo ma aimè nessuno riesce a vedere proprio nulla a parte una vecchia cabriolet rossa che si allontana.
Il suo sorriso di un attimo prima si è trasformato in una smorfia, un ghigno orribile che fa pensare ad un soffocamento e giù tutti a dare colpi sulla spalla del povero Signor P. che in effetti un boccone di traverso ce l’ha dopo aver visto ciò che ha visto. Ma che cosa ha visto? Non ci è dato saperlo perché ormai il Sig. P. sta esalando il suo ultimo respiro soffocato dal boccone di cinghiale.
Tre chilometri oltre, una vecchia cabriolet rossa si ferma davanti ad un elegante e piccolo villino, una giovane donna scende dall’ auto, ha la camicetta sbottonata e si intravede il prosperoso seno, i capelli scompigliati e la gonna tutta stropicciata, sta per entrare in casa quando torna indietro quasi correndo, apre lo sportello dalla parte del guidatore e bacia appassionatamente il giovane uomo che è al volante. L’uomo docile si fa baciare poi rivolto alla sua focosa amante l’apostrofa dolcemente: “ piccola ,bisogna essere più accorti, così ci farai scoprire, non devi più fare cose avventate come quelle di stasera. Pensi che sia stato prudente al lago abbassare la capote mentre eri su di me completamente nuda? Hai dimenticato che da quelle parti c’è un locale abbastanza frequentato? Per fortuna sono stato veloce e l’ho richiusa subito, spero che gli avventori di quel bar non ci abbiano visti.” “ Si hai ragione, lo sai che quando facciamo l’amore non capisco più nulla, buonanotte tesoro al prossimo venerdì.”
Era il loro anniversario, dieci anni insieme, meritava un regalo.
Non poteva certo regalarle un diamante, ma anche un piccolo anello d’argento l’avrebbe resa felice. Era una donna senza pretese, per fortuna! In tanti anni non aveva mai chiesto nulla, era stata brava nella gestione domestica ed aveva risparmiato su tutto. Niente fronzoli nella loro vita, niente cose superflue, il necessario si, quello non era mai mancato, d’altra parte una moglie prodiga non l’avrebbe voluta.
Certo , l’aveva vista sospirare davanti a una vetrina di abiti firmati e l’aveva anche sorpresa a spiare, dietro le imposte, i vicini che partivano per le vacanze e, a ricordare bene, una volta gli aveva chiesto di portarla al cinema, c’era un film d’amore che avevano pubblicizzato tanto. Non se ne era parlato nemmeno di spendere soldi per una stupidaggine. Ora però un regalo proprio lo meritava.
Era andato in gioielleria e gli avevano mostrato degli anelli intoccabili , aveva spiegato che voleva spendere poco. E’ il pensiero che conta! La commessa gli aveva confezionato un bel pacchetto, per un attimo aveva temuto che gli chiedessero un sovrapprezzo. Era tornato a casa e aveva cercato sua moglie in ogni stanza. Strano, lei non c’era. Solo un biglietto sul tavolo in cucina , lo lesse: “non mi cercare”.
Se ne era andata! Si accasciò su una sedia affranto , abbassò la testa e rigirò il pacchetto che aveva tra le mani “ troppo tardi…” sospirò ,“troppo tardi per riportare indietro il regalo”.
Aveva scelto l’angolo della stanza opposto alla finestra per raggomitolarsi e guardare fuori.
Chiunque avrebbe definito quella giornata splendida, un sole caldo illuminava la terrazza con i gerani già in piena fioritura, il cielo era di un azzurro intenso su cui si inseguivano bianchi batuffoli di cotone sgranato, un vento leggero faceva svolazzare la tenda di lino che ora si apriva e ora si richiudeva lasciando intravedere i tetti e il campanile della piccola chiesa di epoca medioevale. La sua casa non era lontana dal mare, non lo poteva vedere ma sentiva il suo odore nelle narici . Erano le prime ore della giornata, l’aria era ancora gentile. A lei tutto era indifferente. Dal suo angolo guardava un punto indefinito o forse non guardava affatto. A tratti i suoi occhi si riempivano di lacrime che poi scendevano silenziose lungo la guancia, una dietro l’altra come una scia iridescente fino a fermarsi sul suo mento . Lì si riunivano e prendevano nuova forza per formare una goccia abbastanza grande da avere il coraggio di saltare nel vuoto , sul suo sterno dove si disperdeva definitivamente in mille schizzi. Nessun pensiero nella testa, tutto era stato azzerato, cancellato, distrutto, come se una specie di virus informatico avesse eliminato il suo data-base in una manciata di secondi. Un passerotto che si era posato sulla ringhiera del terrazzo aveva attirato la sua attenzione, ora la sua mente ne registrava il cinguettio. Posò la fronte sulle ginocchia e chiuse gli occhi, le bruciavano. Con le mani intrecciate si teneva le gambe. Cominciò a dondolarsi e a recitare una nenia, come un canto sommesso sembrava il lamento della sua anima. Si guardò le unghie dei piedi, le aveva tinte con uno smalto rosso, all’ alluce del piede destro c’era una sbavatura.
Qualcuno bussò alla porta e la scosse dal suo torpore ma questo non fu un bene, perché con il barlume di lucidità arrivò anche un pugno forte nello stomaco che la fece sussultare . Aspettò silenziosa che il visitatore si allontanasse mentre con le mani si premeva l’addome , in qualche modo cercava di contenere quella violenza che le esplodeva dentro e che subdola tentava sempre nuove vie per venire fuori e prendere il sopravvento sul suo corpo, sulla sua mente , sul suo cuore. Ma lei non lo avrebbe permesso, lei era brava a tenere tutto sotto controllo, tutti i tasselli della sua vita in ordine come la sua bella casa, tutti gli affetti allineati in sequenza gerarchica: i figli, il marito, i genitori e i fratelli, gli amici e poi tutto il resto. Anche i sentimenti erano stati catalogati, la sua mente non poteva permettere all’istinto , all’impulsività, alla passione di distruggere ciò che aveva costruito negli anni: una bella famiglia, tre figli meravigliosi, un marito perfetto. Ma aveva un senso, ora, continuare a controllare una vita che l’aveva ingannata in quel modo assurdo, inconcepibile per il suo cervello?
Si ricordò che lui le aveva dedicato la sua tesi di laurea , andò a cercarla e quando la trovò riprese la sua posizione nell’ angolo, era lì che l’aveva spinta il destino ed era lì l’unico posto in cui poteva sopravvivere. Aprì il volume rilegato in pelle rossa, trovò la pagina che cercava e lesse: “ A Patrizia Hai rinunciato ai tuoi sogni per consentirmi di realizzare i miei, mi hai sorretto nei momenti di sconforto e mi hai impedito di buttare la spugna quando non avevo la forza di proseguire, hai gioito dei miei successi , hai condiviso le mie amarezze, hai creduto in me più di quanto ci abbia creduto io ed è solo grazie a te che oggi sono qui a discutere la mia tesi di laurea e a dichiararti il mio amore per sempre .” Per sempre… dura solo un attimo.
All’alba era arrivata la telefonata dei carabinieri, erano stati gentili… l’auto si era schiantata contro un albero, andava a forte velocità, c’era dell’olio sull’ asfalto, in curva aveva perso il controllo, entrambi i passeggeri erano morti. Entrambi : il famoso professore universitario e la sua giovane assistente. Non aveva avuto il coraggio di dirglielo in faccia, le aveva lasciato solo poche righe: ”Non ce la faccio più ad esserti grato per tutta la vita, non ce la faccio più ad essere riconoscente ad una dea irraggiungibile che ogni giorno si immola per me, non voglio più il tuo amore così impegnativo, voglio la leggerezza, voglio la passione, voglio un altro amore”.
L’urlo le uscì muto , l’aria le bloccava la laringe, si contorse come un animale più volte colpito, poi si ripiegò su se stessa come un sacco vuoto e ritornò nell’ assenza.
Le ho comprate finalmente! Le arance. Tonde, succose, di quel bel colore che ricorda il sole. Adoro le arance in tutte le salse, nel senso che non mi limito a mangiarle solo come frutta, ma le aggiungo nelle insalate, nei dolci, nei risotti e poi che dire dell’anatra all’arancia o dell’arista di maiale con arancia e scorzette. Ah! Le scorzette, le dimenticavo, intinte nel cioccolato fondente. Che delizia! E le crepes suzette?
Ma oggi con queste arance voglio preparare la marmellata. Mai fatta! C’è sempre una prima volta. E che sarà mai?
Cerco su internet , leggo i vari modi di preparala e scelgo quello che mi aggrada di più: 1 kg. di arance, 1 limone, 1 Kg. di zucchero. Non mi dispiacerebbe aggiungerci dello zenzero o della cannella. Proviamo.
In realtà , anche se amo cucinare, in questo momento sono presa da un’altra passione, una passione travolgente, folgorante, totale per il mio blog di scrittura. Nelle ultime sere, presa com’ero da questa mia nuova esperienza ho dimenticato di preparare la cena. Il mio lui , che non aspettava altro che io smettessi di lavorare in quell’asfissiante ufficio di periferia per poter finalmente gustare i miei manicaretti, sconsolato si è accasciato sulla poltrona dicendo . “ mi sa che anche ora dovrò essere io a preparare da mangiare” e poi “avevi detto che avresti preparato in casa la marmellata di arance che ci piace tanto…”
Eh sì, è questo che ci unisce, abbiamo esattamente gli stessi gusti e amiamo regalarci dei momenti di coccole, la colazione per esempio: pane ai cinque cereali, tostato al momento, marmellata di arance, latte con orzo e miele, yogurt naturale e … la giornata può incominciare!
Mi sono sentita leggermente in colpa, credo che i sensi di colpa aggrediscano molto di più le donne degli uomini per un atavico condizionamento che fatichiamo a scrollarci di dosso. Fatto sta che questa marmellata di arance la devo proprio preparare.
Ero giovane allora, con il vento nei capelli correvo a 200 chilometri orari avvinghiata al mio ragazzo che sfidava la vita su una striscia di asfalto.
Non conoscevo la paura e il tempo era ancora mio amico: lunghi pomeriggi trascorsi a studiare e a sognare, a ridere e a piangere senza un perché. Soli in casa danzavamo sulle note di una canzone: “dondola, dondola il vento la spinge…” o facevamo l’amore “cattura le stelle per i suoi desideri…” e dopo ci restava anche il tempo di fare stupidi scherzi al telefono. Impaziente aspettavo i miei 18 anni che sembravano non arrivare mai. In quel tempo dilatato troppe erano le tentazioni: fumare una sigaretta o uno spinello, andare a rubare ai grandi magazzini, saltare la scuola e andare in giro senza una meta, uscire di nascosto la notte o baciare il ragazzo di un’altra. Non mi chiedevo se ero felice, non te lo chiedi mai quando lo sei e non sapevo di vivere in un tempo ancora magico dove tutto era possibile. Avevo bisogno di sperimentare, di mettermi alla prova, di capire chi fossi e l’amicizia e l’amore stavo appena cominciando a conoscerli. Oggi è il mio compleanno. Sono andata a cercare quell’ LP, lo adagio sul giradischi, alzo il braccio di metallo e lo sposto in avanti in modo che la puntina entri in contatto con il primo solco, certi gesti non si dimenticano mai, la musica parte: “…per i suoi desideri… io non volevo svegliarla così! io non volevo svegliarla così!” Troppo in fretta sono trascorsi i miei 60 anni!
Daniela aveva preso il freccia bianca Milano Roma alle 12 , aveva il posto assegnato e sperava di non avere i sedili vicini occupati. L’ultima volta che aveva preso il treno i posti vicini al suo erano occupati da un’intera famiglia di spilungoni. Aveva viaggiato malissimo, non aveva potuto neanche allungare le gambe o allargare un po’ i gomiti.
Ora le si era seduto di fronte, ma sul sedile vicino al finestrino, mentre lei preferiva quello sul corridoio, un ragazzetto insignificante e un minuto prima che il treno partisse gli altri due posti erano ancora liberi. Che bellezza! Ma quella sensazione di piacere durò poco, perché prima arrivò una signora di mezza età che si accomodò vicino a lei e poi un uomo in jeans Armani e polo Lacoste. Un uomo relativamente giovane o forse solo giovanile. Viaggiava senza bagagli e con due cellulari, uno aveva una mela serigrafata sul retro. Si scambiarono uno sguardo veloce, giusto il tempo che richiedeva la circostanza e accennarono a un sorriso, poi Daniela tornò al suo computer per controllare la posta e il treno partì. Si accorse che la signora al suo fianco sbirciava nelle sue e-mail e decise di spegnere il portatile.
Il ragazzo insignificante aveva gli auricolari e ascoltava musica dal cellulare, l’uomo in jeans Armani e polo Lacoste mandava messaggi con entrambi i telefonini. Nel gruppo di poltrone immediatamente successivo erano sedute 4 ragazze straniere, forse in vacanza, tutte carine. Una delle ragazze aveva dei pantacollant neri aderentissimi e una maglietta che si fermava sotto il seno lasciandole scoperto l’addome. A l’ombelico aveva un pircing. L’uomo in jeans Armani e polo Lacoste non poteva vederla ma sentiva il suo odore di preda giovane e si agitava sulla sedia cercando un modo che apparisse il più naturale possibile per poter dare una sbirciatina a tanta bellezza, ma un modo naturale non esisteva e ad un certo punto si alzò in piedi come per prendere qualcosa dalla valigia che non aveva. Per fortuna aveva una bottiglietta d’acqua e mise quella sul portabagagli, nessuno lo guardava, tutta questa pantomima la notò solo Daniela “ ridicolo” pensò e continuò ad osservarlo di sottecchi. Anche se lui non poteva avere più di 40 anni le ragazze potevano essere comunque sue figlie. Dovette risedersi, continuò a mandare sms e sembrava veramente molto assorto, ma ogni volta che sentiva passi nel corridoio alzava lo sguardo e squadrava chi gli passava vicino o meglio alzava lo sguardo solo se chi gli passava vicino era di genere femminile. Ora alzava lo sguardo: era una donna, in la con gli anni ma era una donna, ora continuava a mandare sms: passava un uomo, ora alzava lo sguardo: era una giovane donna un po’ trasandata, ora continuava a mandare sms: era un bambino che andava alla toilette. Come un cacciatore, come una fiera, fiutava l’odore e sentiva il passo della preda. Quell’alzare il capo in maniera selettiva era un retaggio dell’istinto animale primordiale, Daniela continuava ad osservarlo divertita. Ma poi toccò a lei essere la preda, l’uomo cominciò a guardarle le gambe e sembrò apprezzare tanto che passò alla parte superiore. Daniela sentiva un po’ di imbarazzo, decise di nascondersi dietro un giornale ma ormai era troppo tardi, lui l’aveva presa nel mirino, ce l’aveva di fronte e l’aveva lasciata per ultima, tanto lei era lì, in un angolo, come in gabbia, dove sarebbe potuta andare? In qualsiasi momento lui poteva spostare la sua attenzione su di lei ma doveva decidere se ne valeva la pena , se c’era di meglio e di meglio a parte le acerbe ragazzine non c’era.
Le chiese <va a Roma?>
Domanda cretina perché quel treno partiva da Milano e finiva a Roma senza fermate intermedie.
Daniela rispose e cosa se non <Sì>
< E si ferma molto?>
<Una settimana>
<Per lavoro?>
< Si per lavoro>
<Ah! E le piacerebbe conoscere la città?>
< La conosco già>
<Ma non come un romano>
<No, come un romano no>
< Sa ci sono dei posti bellissimi semisconosciuti, magari ci sarà passata davanti tante volte senza conoscere tutta la storia e tutta la bellezza occultate da edificazioni successive. Per esempio le case del Celio le ha viste? E una passeggiata nel quartiere ebraico l ‘ha fatta?>
Daniela non aveva visto né le case del Celio, né il quartiere ebraico e l’uomo in jeans Armani e polo Lacoste lo capì dalla sua espressione un po’ stupita , un po’ perplessa e non si fece sfuggire l’occasione di farsi avanti.
< Se le fa piacere> le disse <io l’accompagnerei volentieri a scoprire i misteri di Roma>
Daniela sorrise ma non rispose. Era un sì, era un no?
<le lascio il mio numero di telefono, se ha un po’ di tempo questa settimana mi chiami , così cerco di organizzare un bell’itinerario. Anzi glieli lascio tutti e due , sia quello dell’ufficio, sia il privato.>
Daniela sapeva che non l’avrebbe chiamato ma segnò ugualmente i numeri sul suo cellulare , l’uomo stava per dirle il suo nome quando la porta in fondo alla carrozza si aprì ed entrò una splendida bionda in jeans D&G e camicia Etro. Aveva anche una borsa Louis Vutton, non una classica borsa Louis Vutton ma una originale in pelle lucida bordeaux che richiamava i colori della camicia e con il marchio della maison quasi scolpito sulla pelle. Daniela la vedeva avvicinarsi, l’uomo in jeans armani e polo lacoste non poteva vederla ma anche in questo caso fiutò la femmina. Il suo fiuto probabilmente gli comunicava che chi stava passando non solo apparteneva al genere femminile, ma nella classifica delle femmine sicuramente si trovava ai primi posti.
Smise di occuparsi di Daniela e cominciò a voltare il capo come per guardare verso il finestrino opposto, nel frattempo con la coda dell’occhio cercava di registrare la nuova passante, gli cadde il telefonino, si chinò per prenderlo ma fu maldestro e la donna non riuscì ad evitare con il suo ginocchio la tempia di lui che si lasciò sfuggire un <cazz…..> e svenne.
Daniela, il ragazzo insignificante e la signora di mezz’età corsero in suo aiuto , la bionda in jeans D&G e camicetta Etro cominciò a chiedere scusa e a dire che non l’aveva visto, che si era chinato di botto e che anche lei si era fatta male. Due ragazzi ben messi, forse due atleti corsero dal centro della carrozza verso di loro per aiutarli a sollevarlo. Una signora dall’altro lato, prese da una borsa frigo un siberino che odorava di pesce e lo offri per posarlo sulla tempia del malcapitato.
La bionda in jeans D&G e camicetta Etro si occupò personalmente di tenere ben fermo il siberino sulla testa dell’uomo in jeans Armani e polo Lacoste che lentamente riprese conoscenza e quando finalmente riuscì a contestualizzare il luogo, il tempo e la bionda le regalò un sorriso ebete che acquietò l’animo della feritrice-soccorritrice.
Cominciarono a raccontarsi le rispettive versioni dell’incidente, tutti i passeggeri tornarono al loro posto , Daniela rimase in piedi perché nel frattempo la bionda in jeans D&G e camicia Etro aveva occupato il posto di lui e lui aveva occupato il posto di Daniela . Lei era protesa verso di lui e con i gomiti appoggiati al tavolino gli teneva la mano. Lui neanche si accorgeva di Daniela che aspettava pazientemente che tutto tornasse al momento prima dell’incidente e che finalmente il suo posto tornasse ad essere suo.
Poi nel momento in cui la bionda in jeans D&G e camicetta Etro chinò la testa per estrarre dalla borsa il telefonino e scambiarsi i numeri di cellulare, lui guardò Daniela e prima le fece un occhiolino e poi alzò entrambe le sopracciglia, spalancò gli occhi, le riservò un sorrisetto ed un’alzata di spalle.
Era stata tutta una messinscena, a pensarci bene era un po’ esagerato che un colpetto con il ginocchio potesse far svenire un pezzo d’uomo così ma nel dubbio. ..
Daniela si allontanò e trovò un sedile vuoto due poltrone più avanti. Da lì poteva vedere tutta la scena del corteggiamento :
< Scende a Roma vero?- e si ferma molto? Le piacerebbe conoscere la città?…ma non come un romano, sa ci sono dei posti bellissimi semisconosciuti se le fa piacere io l’accompagnerei volentieri a scoprire i misteri di Roma…>
La bionda in jeans D&G e camicia Etro era conquistata dall’uomo in jeans Armani e polo Lacoste e poi si sentiva anche un po’ in colpa. Si diedero appuntamento per la sera stessa. Daniela lo vide gongolare.
Il treno arrivò alla stazione puntuale, Daniela scese immediatamente, subito dopo scese la coppia che si era appena formata. L’uomo in jeans Armani e polo Lacoste sorrideva soddisfatto senza neanche più un piccolo risentimento alla tempia. Daniela percorse la strada verso l’uscita, anche la nuova coppia seguiva lo stesso percorso, l’uomo non toglieva gli occhi di dosso alla bionda, Daniela girò l’angolo , anche la coppia girò l’angolo ma l’uomo con jeans Armani e polo Lacoste inciampò in un trolley e cadde rovinosamente lussandosi una spalla. La bionda in jeans D&G e camicia Etro accorse immediatamente in suo soccorso.
Daniela era proprio lì <ma come ha fatto a non vederlo?> lo apostrofò, poi riprese il suo trolley, quel trolley, e si confuse tra la folla.
L’aria calda del pomeriggio si faceva strada tra le fessure delle persiane, Daria dormiva. Fasce di luce e di ombre si alternavano sul suo corpo nudo ed io la guardavo.
Nessun rumore proveniva dall’ esterno, solo il gracidare delle cicale. La guardavo abbandonata in chissà quale sogno, con le labbra appena socchiuse come se fosse ancora in attesa di un bacio.
Sentivo i suoi occhi su di me, forse pensava che dormissi ancora e glielo lasciai credere, rimasi così, immobile, mentre nella mia testa , come una bobina , si srotolavano le immagini di un passato prossimo: la prima volta che ci siamo visti, quando parlando della mostra fotografica che volevo allestire nella sua galleria ci ritrovammo senza accorgercene con gli occhi negli occhi e le labbra scaldate dal respiro dell’altro.
Non l’ho più rivisto fino al giorno dell’inaugurazione; era mio marito che si occupava dell’organizzazione ed era stato solo perché lui era partito dimenticando l’appuntamento che noi ci eravamo incontrati. Ho avvertito subito la sua presenza, ero presa da altro, spiegavo ad alcuni amici il tema della mostra, il filo conduttore che mi aveva guidato alla ricerca dell’immagine perfetta, le ore di attesa trascorse aspettando la luce giusta, eppure i miei occhi lo hanno intercettato immediatamente. Mi è venuto incontro sorridendo ed il suo passo morbido, la sua falcata lunga, il suo incedere sinuoso, quasi erotico mi è parso una danza privata ed esclusiva allestita solo per me.
Dopo la mostra andammo a cena, Roberto gli chiese di unirsi a noi. Sentivo il suo sguardo infilarsi nella mia camicetta, sotto la gonna, tra le mie gambe, dentro i miei occhi ed io mi lasciai indagare. Ci siamo rivisti ancora: in libreria, in una sala da te, al cinema, ad una conferenza, a teatro, ad un concerto, al parco, all’ ufficio postale, in banca, in piazza, in galleria. Non erano incontri concordati, programmati, prestabiliti, semplicemente ci siamo incontrati. Sempre.
In quei primi mesi ci siamo cercati incessantemente, inevitabilmente, avidamente, nascondendo alla nostra coscienza ciò che per i sensi era lampante. Mi ha raccontato di lui , ha voluto sapere tutto di me, ben presto gli incontri casuali non sono più bastati , sono venuta a trovarlo qui quasi ogni pomeriggio, non potevo farne a meno e comunque non mi sono sentita colpevole, non ancora. Semplicemente avevo bisogno di vederlo per sentire che esistevo, quando non ero con lui tutto era vago, finto, tutta la mia vita precedente falsa. Mi sono detta che non era accaduto nulla di irreparabile , mi sono detta che non saremmo andati oltre ,mi sono detta una bugia.
Lui mi ha baciata. Stava preparando, come ogni pomeriggio il caffè. Mi sono seduta sul mobile della cucina, la gonna corta mi scopriva le cosce. Ridevo, giocavo ed ero felice. Anche lui. Non è stato un bacio romantico, non è stato un bacio sensuale, è stato un bacio per gioco. Mi ha chiesto se volevo provare un nuovo modo di bere il caffè e lo ha passato tra le mie labbra dalle sue labbra. Poi ha continuato lentamente a sfiorarmele, si è avvicinato, sembrava quasi che stesse per baciarmi, io mi sono protesa e lui si è allontanato, è ritornato a mordicchiarmi, mi ha soffiato il suo respiro caldo, la sua lingua leggera ha circumnavigato tutto il contorno della mia bocca ed infine si è insinuata a cercare la mia ed io non potevo che cedere.
La stanza sapeva di sale , di alghe e di sabbia. Lei sapeva di buono , il suo odore di femmina unito alla fragranza di Mademoiselle Cocò era un richiamo irresistibile per i miei sensi ancora avidi . Volevo sfiorare con le labbra la sua pelle, gustare il sapore dei suoi seni, accarezzare la linea morbida dei suoi fianchi, e , allo stesso tempo, volevo ancora guardarla dormire. Sul comò il ticchettio inesorabile della vecchia sveglia cromata, con le grandi lancette nere, scandiva il trascorrere del poco tempo sottratto alla vita altrove.
Era da un anno che l’aspettavo, da quella prima volta che ci siamo incontrati e che le nostre anime si sono riconosciute e cercate contro la nostra volontà, contro la nostra ragione, contro la nostra paura. Ed ora volevo solo guardarla , volevo fissare nella memoria il suo corpo, il suo respiro, questa stanza, questi momenti rubati.
Non sapevo cosa sarebbe accaduto dopo, dove ci avrebbe portato la nostra storia. Ho sempre pensato quanto siano squallide e banali le storie d’amore clandestine , non quelle di sesso. Le storie di sesso sono a loro modo leali , non si consuma un vero tradimento , ognuno prende e da quello che gli serve senza complicazioni. Le storie d’amore no, nelle storie d’amore non ci sono solo i sensi, c’è l’alibi dell’innamoramento a mascherare la colpa, c’è la mente, c’è il cuore, ci sono i dubbi, le paure, i conflitti , le fughe, i ritorni. Le storie d’amore clandestine sono come i peggiori romanzi di appendice : una passata di colori forti su due vite grigie aspettando l’episodio successivo. Ma ora era accaduto a noi e le nostre vite non erano grigie e nulla mi sembrava squallido, nulla mi sembrava banale. Complicato si. Doloroso anche, perché comunque sarebbe andata qualcuno avrebbe sofferto: Lei? Io? Noi? Gli altri? Ma cosa andavo a pensare adesso! Come corre la mente quando la lasci libera di andare.
Ora lo sapevo! non potevo più mentire a me stessa, ma potevo ancora fermarmi. Decisi di non vederlo più. La mia anima moriva. Combattevo tra il desiderio e il senso di colpa. Camminavo sospesa come in una bolla di sapone, mi sentivo persa tra la gente, trascuravo il lavoro, trascuravo me stessa, trascuravo Roberto. Anzi Roberto non esisteva, forse lo odiavo. Un pomeriggio lui mi chiamò e mi disse semplicemente : <io ti amo>. Sapevo dove raggiungerlo e lo raggiunsi.
La luce intensa del pomeriggio stava lasciando spazio alle ombre della sera. lo specchio dell’armadio rifletteva ora solo le sagome indistinte dei mobili , sulla poltrona i nostri abiti confusi come noi. Non c’era più tempo. Dovevo svegliarla.
Bene! Ho cominciato così, ho trovato il titolo prima di scrivere il racconto e questo già mi stigmatizza. Ma in realtà non è come pensate, non sono mai stata una donna che si è guardata troppo allo specchio. Ok , d’accordo, non per virtù ma per fatalità. Nella mia vita incasinata non ho mai avuto molto tempo per me stessa.
Lo specchio però è stato il mio alter ego anzi i miei diversi alter ego: quello che doveva ancora venire, quello che stavo lasciando, quello con cui parlavo quando stavo male, quello ormai appartenente al passato. Sì, lo so non sono molto chiara e allora ricominciamo.
Avevo 13 anni ed il menarca aveva sancito inesorabilmente il cambiamento. Lo specchio, che sino a quel momento era stato un oggetto pressoché sconosciuto, divenne il riflesso di me a cui chiedevo risposte: cosa stavo diventando? Come si trasformava il mio corpo? Nello sgomento del passaggio dalla pelle profumata di bambina a quella carica di ferormoni di femmina fertile cercavo rassicurazioni: no, non era una malattia inguaribile, mi trasformavo da crisalide in farfalla. Ah! adesso capisco perché farfalla è un sinonimo di … ma non divaghiamo. Mi guardavo allo specchio quindi, nuda, vestita, di fronte, di lato, ma nella mia mente è rimasta impressa un’immagine come una foto scattata e messa in cornice a fare bella mostra di se: Io , in camera da letto dei miei genitori, davanti allo specchio dell’armadio, con un abito camicione in garza e sotto un cuscino a simulare una pancia. L’accarezzavo come se ci fosse veramente il mio bambino dentro, potere dei condizionamenti sociali : femmina= madre ( nell’accezione migliore). Allora non sapevo che il mio era un desiderio indotto, mi piaceva e basta. Di tutto il casino che stava avvenendo nel mio corpo l’unica cosa che mi piaceva era proprio la possibilità della maternità
A 13 anni quindi, vedevo quella che sarei stata qualche anno dopo.
A 25 anni ero una splendida giovane donna. No, non ho esagerato, ero veramente una splendida giovane donna. In realtà non ero pienamente consapevole di questa grande verità, per me era normale essere giovane ed essere splendida. Non mi ero resa conto della mia fortuna sino a quando non ho temuto di perderla. E questo è accaduto quando si avverava il sogno più grande della mia vita al di la di ogni condizionamento: aspettavo un figlio! Seconda foto messa in cornice: Io, nella mia camera da letto prima di andare a dormire, mi sono spogliata e mi sono guardata allo specchio, mi sono soffermata su quel corpo che forse dopo il parto non avrei avuto più. Nella penombra con un po’ di malinconia l’ ho ammirato ancora integro, i seni turgidi, la vita stretta, i fianchi perfetti. Quanto avrei pagato la gioia di avere un figlio? Con il turbamento di quel momento ho salutato il mio corpo dove già abitava il mio bambino ed ho deciso che ne valeva la pena. Pazienza se poi avrei avuto una pancia molle, il culo largo e le tette flaccide.
Non contenta ho affrontato anche una seconda gravidanza e ci ho messo un po’ di tempo per tornare in forma ma per fortuna non sono diventata ciò che temevo.
A 36 anni ero ancora splendida, la maternità mi aveva donato una morbidezza nel corpo e nei lineamenti che mi conferiva anche un maggior fascino. Ero una mamma felice ed appagata. Come donna, però, non mi andava tanto bene. Perché gli uomini anche se hanno come moglie miss Universo, vogliono fare sempre collezione di farfalle? Va bene lo so, ho esagerato, diciamo miss Italia e chiudiamola qua. In quel momento dovevo mantenere la calma, essere razionale, essere forte e affrontare il mondo per salvare la mia famiglia.
Ogni mattina mi guardavo allo specchio e come gli antichi guerrieri medioevali indossavo la mia armatura per combattere la mia personale battaglia: Al posto del gonnellino in maglia di ferro la gonna a tubo, al posto della corazza la camicia maschile attillata e sapientemente sbottonata, al posto della gorgiera la collana di perle. La borsa era il mio scudo. Le armi che avevo? Non siate stupidi…
Terza foto in cornice io prima del combattimento. E mi sono ripresa ciò che mi apparteneva.
Ma, probabilmente, la guerra mi aveva stremata e a 40 anni ero una donna che faceva i conti con la depressione, lo stress e l’ansia. La sera, dopo aver finito di sistemare, andavo a letto distrutta senza neanche struccarmi. Per anni ho avuto sempre lo stesso libro sul comodino fermo alla terza pagina perché mi addormentavo ancor prima di infilarmi completamente nel letto. Alle 3 però Ansia mi stringeva la gola e mi svegliava. Come dice Morelli, non la combattevo, non la ostacolavo, la accoglievo nella speranza che decidesse di andare via quanto prima. Quante nottate trascorse sul divano a vedere Rai Sat Nettuno. Quante lezioni universitarie di filosofia, di storia, di matematica. Avrei potuto conseguire più di una laurea se avessi deciso di sostenere gli esami, ma sonno niente. In quelle condizioni affrontavo una nuova giornata e ad un certo punto -zac- eccola lì , di nuovo lei, con un abito diverso, che veniva a trovarmi in ufficio. Chiedevo scusa al cliente di turno, simulando una calma che si era già data coraggiosamente alla fuga e andavo in bagno. Mi chiudevo dentro, inumidivo i polsi e il collo con l’acqua fresca del rubinetto e nel frattempo parlavo con quella donna riflessa nello specchio: <Stai calma, respira, piano, lentamente, brava, così, vedi che ce la fai? Non serve a nulla agitarsi , rilassati, ce la puoi fare. Tu sei una donna forte, pensa positivo, tu sei una donna forte, splendida, affascinante, meravigliosa>. Ho esagerato, dite?Però ha funzionato e sono tornata a parlare amabilmente con il mio cliente. Sto spendendo un sacco di soldi in cornici.
Grazie specchio, mio meraviglioso alleato.
Ed arriviamo ai miei 45 anni. Alle insicurezze della gioventù si sono sostituite le insicurezze per il tempo che passa ma cosa ancor più terribile sancisco il mio fallimento come moglie: mi separo. Beh ! Con il senno di poi è stata una grande scelta ma in quel momento mi sentivo così persa, così vuota . Passavo davanti allo specchio senza vedermi ma se per sbaglio alzavo lo sguardo c’era una donna con gli occhi gonfi e il naso rosso ed un’aria così sofferente, così affranta che non potevo fare a meno di piangere insieme a lei . Non ho foto da incorniciare di quel periodo.
A 48 anni però sono riuscita a metabolizzare il mio fallimento, ho messo a posto tutti i tasselli della mia vita sparpagliati nel caos e sono ritornata a guardarmi allo specchio: strano , sono ancora splendida. Credeteci vi prego ! Sono splendida, consapevole e rabbiosa. Foto di me che mi guardo allo specchio e dico a me stessa:<Ma guardala la donna intelligente, la grande donna che non ha capito proprio un cazzo! E adesso cosa farai della tua vita?>
Voi increduli, a dimostrazione del fatto che continuo ad essere splendida , a 50 anni incontro l’uomo dei miei sogni che fino ad oggi non mi ha tradita e mi ama come il primo giorno. Non è una favola vi assicuro.
La felicità non è eterna ed eccola lì l’ultima insidia, proprio dietro l’angolo e si chiama climaterio : oddio, perderò la mia pelle lucente, ingrasserò, mi verranno tante rughe , le guance cadenti ed il doppio mento e, finalmente, comprendo la matrigna di Biancaneve ed in tutta sincerità io sto con lei, con la matrigna, quella che comunemente viene definita cattiva. Immaginate la tragedia, una donna bellissima che assiste all’inesorabile sfiorire e si vede soppiantata da una giovane ragazza vagamente melensa, vagamente stupida e molto ma molto fortunata, tanto da essere sposata da un principe. Povera matrigna, sola, disperata. Ogni giorno a cercare risposte in uno specchio che in maniera spietata la colpisce al cuore: <No , non sei tu la più bella del reame>. Ed eccomi qui ,nel mio bagno, a scrutare ogni mattina il mio viso nella speranza che le rughe non aumentino e che il collo non cada. Spalmo creme, fluidi e sieri , mi sento una specie di fattucchiera. Con le dita tiro su la pelle verso le tempie, ecco , in fondo basterebbe poco per tornare ad essere bella, per non farsi sconfiggere dal tempo, ma il fatto è che ho una paura maledetta del bisturi e quindi si ad alimentazione biologica, chili di frutta e verdura per combattere i radicali liberi, bicchiere di acqua calda e limone appena alzata, succo di mirtilli, spremuta di melagrana. Sono diventata anche un’assidua frequentatrice di palestre e percorro chilometri per mantenermi in forma. Integratori , massaggi e creme dovrebbero fare il resto. In realtà sto diventando triste perché so che questa sfida la perderò e quindi non farò nessuna foto da mettere in cornice.
Per chiudere , siccome continuo ad essere una assidua fautrice del pensiero positivo, voglio regalarvi una immagine reale, non riflessa, badate bene: io, insieme ai miei figli e i loro amici che dicono: <Che mamma giovane avete!>
Ma dai sì! Accontentiamoci. Però da ora in poi niente specchi per favore.
Finito di scrivere 13/5/2015
Mi è piaciuto parlare del rapporto delle donne con lo specchio e tra dolce e amaro ho provato a prendermi in giro. Il mio compagno dice che ho esagerato a definirmi splendida. Credo che il mio compagno non abbia il senso dell’umorismo. O forse non ce l’ho io?
Delle mie sorelle io sono la più bella, a dire il vero sono anche la più intelligente.
Certe verità sono inconfutabili ed è inutile reagire come Ester che si arrabbia sempre con tutti, la sua violenza emotiva non cambierà la realtà, se fosse appena più dolce , ecco come lo sono io, magari riuscirebbe ad essere quasi gradevole ma il suo caratteraccio la rende veramente odiosa.
Poi c’è Mirta, povera Mirta, povera dentro e povera fuori, sempre lì a contare il suo denaro, sono anni che non compra un abito e i capelli se li lava in casa e li asciuga al sole. Mi domando perché accumulare denaro che non spenderà mai? Il denaro è fatto per essere speso , con criterio certo, ma speso. Ecco io in questo sono perfetta come in molte altre cose in effetti.
Ad esempio sono una donna piena di interessi a differenza dell’altra mia sorella Frida, indifferente, indolente, inerte , sempre lì buttata sul divano a guardare il soffitto, senza nessuna voglia, nessun desiderio, nessuna spinta interiore. Ditemi voi se una persona così può definirsi bella!
Ma neanche Lavinia può definirsi bella perché è magrissima come un’anoressica anche se mangia veramente in modo abnorme: pensate che lei da sola mangia ciò che mangiamo io e le altre mie sorelle insieme e poi ha il coraggio di dire di non mangiare per fame ma per gusto.
Mi sembra quasi che alle mie sorelle manchi l’equilibrio , cosa di cui la natura, per fortuna, a me ha fatto dono . Le trovo così eccessive, non vorrei essere come nessuna di loro e men che meno come Vanessa assatanata di maschi e di sesso . Pensate che l’altro giorno sono tornata a casa in anticipo e l’ho trovata a letto con due uomini!
Le mie sorelle erano tutte a lavoro tranne Lidia che quando si è accorta della cosa ha incominciato a ripetere il suo solito ritornello:< Ma guarda che fortuna! Capitano sempre a loro! A me mai niente di buono, a me solo lavoro e preoccupazioni , non è giusto!> L’ho redarguita : <Lidia ma che dici? Sembra che vuoi il male delle tue sorelle, dovresti prendere esempio da me che sono generosa con tutti e superiore a queste meschinità.>
Ah, non so proprio cosa farebbero le mie sorelle senza di me.