Ho percorso 3 chilometri a piedi per arrivare al Circolo. Stasera cena con tutta la famiglia. Non ho voluto andare in auto perché ho bisogno di camminare, me lo ha imposto il ginecologo. Ormai sono uscita fuori conto, è solo questione di giorni ed il mio bambino nascerà. Mi è sempre piaciuto camminare, certo un’estate così calda non l’avevamo da tempo, ma la gravidanza mi fa bene e mi fa sentire forte e poi quando cammino mi perdo nei pensieri e lontano dal vociare famigliare ritrovo me stessa. Devo stare attenta quando attraverso la strada! Mentre cammino a passo spedito non riesco a vedermi i piedi, la mia pancia a siluro li copre completamente. Come si è modificato il mio corpo in questi nove mesi! Dapprima è aumentato il giro vita ed ho dovuto fermare le gonne con uno spillo perché l’asola del cinturino non arrivava più al bottone, più che incinta sembravo ingrassata. Spesso mi sono guardata allo specchio, la mia pancia che da piatta si arrotondava non mi faceva tenerezza, il pensiero prevalente era che avrei perso il mio corpo esile e che forse non lo avrei più ritrovato. Poi un giorno è accaduto qualcosa di strano, ho sentito un movimento dentro di me, quasi impercettibile, ed istintivamente ho messo la mano sulla pancia. Ero sola ed ho pianto lacrime leggere di emozione e stupore. Non ho detto a nessuno che il mio bambino si era mosso, quello è stato un momento solamente nostro, il momento in cui siamo entrati in contatto ed abbiamo sentito di amarci.
Quando è diventato più grande ha cominciato a scalciare energicamente, un piede puntato, un pugno, un cambiamento di posizione. Ogni volta mi ha colto sempre la stessa emozione ed ho incominciato a parlargli , a sorridergli, ad accarezzarlo. Sulla mia pancia si sono alternate le mani del padre confinato a ruolo di spettatore , anche lui emozionato , anche lui stupito ma certo non coinvolto con il respiro, con il sangue , con tuto il corpo e la mente come me.
Verso i cinque mesi la mia gravidanza è stata evidente, mi sono imposta di essere serena e di non farmi prendere dalle paure che inevitabilmente arrivano subdole , ho ascoltato musica classica , l’ho accarezzato e gli ho parlato mentre tenevo tra le mani la sua prima foto in bianco e nero. Per la prima volta mi sono rivolta a lui , perché ormai sapevo che era un lui, chiamandolo per nome.
E’ arrivata la primavera e sono entrata in uno stato di felicità perfetta che niente e nessuno poteva intaccare. Ormai le nausee erano passate da tempo e sentivo solo una gran fame. Ho fatto lunghe passeggiate, sono andata al mare, ho nuotato ed ancora continuo sino a quando lui non deciderà di nascere.
Al Circolo stasera ci sono tutti, anche il mio ginecologo che poi è anche un grande amico. Mi guarda ammirato e mi dice” sei bellissima” ed io lo so di essere bellissima con la mia gioventù, i miei occhi lucenti, il mio addome pieno.
La serata è calda ma gli alberi e la brezza del mare mi regalano un po’ di refrigerio, seduta al tavolo mi guardo intorno e mi sento in una bolla, i rumori sono attutiti, i visi, anche quelli delle persone care, mi sono diventati estranei, non sento la fame né la sete, non sento il profumo della pizza che il cameriere ha posato dinanzi a me, tutti i miei sensi sono concentrati sul mio bambino che con i suoi piedini spinge sul diaframma, mi alzo in piedi per respirare ed un dolore mi trafigge, il volto viene aggredito da una smorfia , ansimo, misuro il tempo : una contrazione e poi un’altra e ancora un’altra. Ogni due minuti, ma aspetto perché so che sarà un parto lungo. Cerco con gli occhi, prima di mio marito, il mio ginecologo, in questo momento è di lui che ho bisogno, mio marito ora potrei anche odiarlo .
Un cenno e mi dice “vai in ospedale, io ti raggiungo” e così ci muoviamo. Mentre cammino a tratti mi piego su me stessa, chiudo gli occhi ed aspetto che passi. Mi ripeto che per quanto possa essere lungo questo parto, arriverà il momento in cui tutto sarà finito e mi ritroverò il mio bambino tra le braccia. Dimenticherò tutti i dolori, le contrazioni, le spinte, le urla e saremo nella bolla io e lui, solo noi, gli altri non saranno ammessi, sentirà il mio cuore ed io il suo, sentirò il suo odore e lui il mio, il contatto con la pelle e il calore.
E’ nato!
Ho la pancia molle, il seno gonfio, i punti mi bruciano e mi sento sfinita ma lui è tra le mie braccia .
Daniela è un’ artista mesagnese. Il suo quadro “Nel viaggio di Sale” è fatto con pezzi recuperati al mare. Il suo pensiero: < nel viaggio di sale le nostre vite come detriti che viaggiano nel mare… recuperati e portati a nuova vita. Perché c’è sempre una nuova vita…> lega perfettamente con il senso della mia poesia. Una vita, sospesa tra realtà e immaginario, sospesa in un luogo lontano da chi amiamo, alla deriva nel nulla dell’esistenza, si dà un’altra possibilità perché c’è sempre una nuova vita o forse un modo di guardarla con occhi diversi.
Non mi interessa più! Che strano. Un tempo non avrei dormito per notti intere.
Come una belva mi sarei aggirata per tutta la casa e avrei rotto qualcosa, avrei gridato, avrei pianto. Lo avrei pedinato ed avrei controllato ogni indizio, avrei telefonato in ufficio nelle ore più strane, mai le stesse per non consentirgli di mettere in atto una qualsiasi strategia. Avrei affrontato la mia rivale ed ingaggiato una battaglia per riavere il mio uomo. Con la presunzione dei miei 30 anni avrei rischiato tutto, anche di perderlo ma non di condividerlo. Lo avrei messo con le spalle al muro, costretto ad una scelta: ancora una conferma che ero importante per lui oppure un’altra occasione per ricominciare senza di lui.
Ora lo guardo e mi domando se mi ama ancora o se la sua è una scelta di comodo. Una specie di brivido sulla pelle! Vorrei domandarglielo mentre lui fa tutte le cose che deve fare tranne accorgersi di me, ma lascio stare. A che servirebbe una discussione faticosa che non approderebbe a nulla? Non ho più 30 anni! Non ho più la forza di combattere e mi preservo dalla sconfitta. Mi domando come sarebbe la mia vita se restassi sola? Mi dico che sto bene così , che non ho bisogno di nulla, sono una donna forte , eppure non sono abbastanza forte da fare a meno di lui, da decidere di fare a meno di lui. E andiamo avanti in giorni spenti e uguali in cui i nostri sguardi sfuggono e le parole tacciono.
Accade a tutte le coppie? Questa specie di morte lenta?
Era una mattina né bella né brutta, una di quelle mattine che ce ne sono tante in una vita.
Elisa trovò una busta sulla scrivania. Accese il computer, esaminò la lista degli appuntamenti , completò la pratica che aveva in sospeso e andò a prendere un caffè. Poi compose il numero di un cliente e aspettò che rispondesse. Guardò la busta, la prese, la rigirò tra le mani, non c’era il mittente, l’aprì. Dentro trovò una foto ed un biglietto. Riconobbe la calligrafia, chiuse la comunicazione mentre qualcuno dall’altro capo urlava: “pronto? pronto?”
La foto! Pensava di averla persa ed invece ce l’aveva lui. Era l’unica di loro due insieme, abbracciati, a Rimini, durante la gita dell’ultimo anno. Era durato nove mesi il loro amore, poi una mattina lui l’aveva lasciata piangendo: “sei una ragazza seria, una da sposare, ti amo tanto, ma io non posso, non ora e tu non mi aspetteresti.” “Non è vero” gli aveva risposto singhiozzando “io ti aspetterò! ti aspetterò!”
Si era arruolato in marina e non l’aveva più visto. Venti anni erano passati da allora. Lesse il biglietto.
“… Ho atteso che il tempo scorresse, ho atteso che tu avessi la vita che desideravi, una famiglia e dei figli… Non voglio nulla, Elisa, se non dirti che mi dispiace per noi e per lo stronzo che sono stato… Forse avrei dovuto chiederti di aspettarmi.”
Quanto era stata male! Guardò la foto e pensò ai suoi bambini, a suo marito, alla sua vita : “No, Maurizio, avevi ragione tu, non ti avrei aspettato .”